Per riflettere insieme, le nostre idee sulla scuola

a cura delle professoresse Diana Romagnoli e Maria Laura Vanorio- Istituto Statale Superiore “Pitagora”


Articolo apparso nel volume Documentazione e territorio. L’esperienza delle buone pratiche in Campania, a cura Gloria Chianese, Loffredo Editore, Napoli, pp. 166-170.
Lo scorso anno scolastico abbiamo deciso di inventare un concorso che potesse rispondere alle domande dei tanti genitori che in molteplici occasioni si mostravano rammaricati perché i loro figli non leggevano.

Dalle scuole di periferia a quelle del centro agli insegnanti vengono posti sempre gli stessi interrogativi: «Perché mio figlio non legge?», «Professoressa, che mi consiglia?» Cui di solito segue la perentoria affermazione: «Io alla sua età leggevo!».

Spesso sentiamo ripetere che  un buon libro insegna a scrivere come se fosse possibile un’equazione immediata tra la lettura e la scrittura. Una specie di medicina, un rimedio infallibile in grado di trasformare l’alunno più pigro e impacciato con le parole in un abile prosatore. Ma l’amore per la lettura forse è una di quelle cose che non si insegna.

Per non parlare delle madri e (perché no?) delle colleghe angosciate da sms, Facebook, Twitter ecc. ecc. iperpresenti nella vita dei ragazzi. Ma chi sono i nostri allievi? A differenza di noi docenti, sono nati in piena rivoluzione digitale, vivono connessi e interconnessi, e per dirla con Remo Bodei «immersi nella rete in un iperpresente nel quale tutte le conoscenze sono accessibili […] nello stesso tempo»[1]. Vengono definiti texting generation, la generazione di ragazzi che usa il cellulare per scrivere più che per parlare, come si evince anche dal significativo incremento del traffico degli sms nel 2010. È una generazione cresciuta fra le chat e i social network, allenata a mettere sui muri di Facebook tutto in condivisione e quindi intenta a utilizzare molto più di noi adulti la parola scritta, pur nelle sue  declinazioni eterodosse. Quindi se i boomers parlano, i millennials scrivono (e anche molto) testi innanzitutto veloci e brevi, tarati prevalentemente sull’efficacia del contenuto e senza la tradizionale attenzione all’aspetto formale. Ecco quindi che agli occhi di tutti (insegnanti e genitori) le nuove tecnologie diventano i nuovi mostri contro cui combattere, i responsabili dei testi sciatti che ci infliggono gli alunni. Anche in questo caso le equazioni troppo semplici non funzionano poi tanto. Un buon libro non ci fa diventare scrittori se manca un ingrediente fondamentale: il piacere.

Visto che parliamo di cucina, le ricette migliori sono quelle della nonna, semplici ed efficaci. Ci perdoni Proust se gli diamo della nonna, ma nel 1905, in quel graziosissimo Sur la lecture, c’è già tutto. «E in effetti è proprio questa una delle grandi e meravigliose caratteristiche dei bei libri (e che ci farà capire il ruolo insieme essenziale e limitato che la lettura può assumere nella nostra vita), che per l’autore essi potrebbero chiamarsi “Conclusioni” e per il lettore “Incitamenti”»[2].

Ci siamo rese conto che il metodo impositivo nella pratica didattica non è più percorribile; quindi, per superare la consueta diffidenza dei ragazzi nei confronti del testo scritto, abbiamo pensato di raccoglierli intorno ai libri ricorrendo a un gioco letterario, che consiste nel calarsi mimeticamente fra le pagine di un testo, nell’imparare a riconoscere in modo empirico la traccia delle diverse scritture, nell’imitarle per poi aggiungere la propria pagina, quella che non c’era, in un punto qualsiasi del testo. Ma neanche questo basta, forse se c’è una strada che può essere percorsa è quella del coinvolgimento emotivo dei ragazzi e degli insegnanti. Lo dice Luca Serianni nel suo L’ora di italiano: «la sfera del piacere è legata alla spontanea reattività dell’individuo e pertanto non può essere imposta con paradossali intimazioni tipo: “appassionati a I Promessi Sposi”»[3].

Funziona, invece, l’incontro con gli scrittori. Ci è venuto in mente, prima di attivare il processo di scrittura, di far incontrare ai nostri alunni gli autori dei romanzi che proponevamo loro di leggere (Valeria Parrella, Paolo Piccirillo e Paolo Zanotti per la prima edizione; Viola Di Grado, Andrej Longo, Marco Malvaldi e Antonio Scurati per la seconda). E, infatti, li hanno letti, digeriti, capiti a loro modo, talvolta anche fraintesi, ma sicuramente vissuti. Tant’è che lo scambio è stato stimolante per tutti: i ragazzi hanno rivolto agli autori una vera pioggia di domande in modo spontaneo e ingenuo («Andavi bene a scuola?»; «Perché è così triste il tuo libro?») e hanno vissuto quest’esperienza con calore e passione, manifestando le proprie emozioni talvolta anche in maniera scomposta: «Il tuo libro non mi è piaciuto»; «Non capisco il messaggio che vuoi trasmettere con questo romanzo».

Si è trattato di un progetto che ha unito luoghi e istituzioni scolastiche anche lontane fra loro (venti scuole campane per la prima edizione, cui si sono aggiunte tre scuole fuori regione nell’edizione 2011-2012, diventata nazionale) e non solo geograficamente, per favorire un fecondo confronto e una relazione di crescita tra allievi e professori. Non a caso la parola che preferiamo quando pensiamo al nostro lavoro di insegnanti è «scambio»: condivisione, talvolta rischiosa, del nostro mondo con quello degli allievi.

Quest’anno per due giorni il liceo “Pitagora”, una scuola nella quale si concentrano i più diversi orientamenti didattici (dall’Istituto professionale al liceo classico) con un’utenza (è così che ormai si usa chiamare l’insieme degli allievi) quanto mai variegata per livello di istruzione, ha ospitato una bella festa del libro. Sì, è proprio in questa area periferica, e precisamente a rione Tojano, un non-luogo che necessiterebbe di un trattato di sociologia, antropologia e architettura, che si è tenuto il festival de La pagina che non c’era. Si sono alternati laboratori con autori di piccole realtà editoriali indipendenti (Mario Gelardi, Alessandro Gallo, Luigi Pingitore, Miriam Rebhun) che hanno voluto regalare ai ragazzi le proprie esperienze e gli incontri con gli scrittori del concorso per parlare della genesi dei libri e della loro gestazione. Gli allievi del nostro istituto hanno ospitato gli studenti venuti dalle altre regioni, per una volta ad accomunare tanti ragazzi sono stati proprio i libri.

Infine, il momento creativo: aspettiamo di leggere le pagine dei nostri alunni, aspettiamo di vedere come riusciranno a imitare, esercizio più antico del mondo, lo stile dell’autore che avranno prescelto.

Non è questa la sede per descrivere le grandi potenzialità della scrittura creativa, che anche gli psicologi usano, ma non è peregrino indicare il solco nel quale ci stiamo muovendo. Nella comunicazione e interazione madre-bambino ogni gesto, verso o atteggiamento della madre viene ripreso e ripetuto dal bambino; non si tratta però di pura imitazione: il piccolo, ripetendo il gesto della madre, sceglie un modo un po’ diverso di riprodurlo e ogni volta introduce una variazione, lo cambia un po’, lo fa proprio, lo rende personale e unico. L’imitazione non basta, ci vuole una sorta di variazione che, attraverso la «sintonizzazione», causa l’effettivo luogo nel quale si forma l’autonomia del soggetto, che dapprima è certamente imitativo[4]. Il bambino costruisce il senso del proprio sé attraverso il continuo rispecchiare ed essere rispecchiato dalla madre, ma per definirsi come individuo e soggettivizzarsi, introduce variazioni e personalizza l’imitazione del gesto altrui. Questa, infatti, è la sfida fondamentale: si cresce e si impara a leggere e scrivere anche emulando gli scrittori per poi lentamente e gradualmente differenziarsi, introducendo delle particolarità personali e definendo un proprio stile.

Lo scorso anno i lavori degli allievi sono stati sicuramente condizionati dai livelli di partenza diversi e disomogenei: hanno vinto alunni provenienti da licei del centro, più blasonati che vantano una solida tradizione scolastica, e che godono del sostegno non solo materiale delle famiglie. Sì, perché anche questo è un dato fondamentale su cui ragionare. La scuola difficilmente riesce a livellare le disuguaglianze sociali. Lo dicono i sociologi, talvolta il cinema o le tanto contestate prove Invalsi: la scuola troppo spesso si limita a certificare in maniera impietosa situazioni già predeterminate. Vero è, però, che tutti i partecipanti hanno dimostrato un grande entusiasmo e molta voglia di esserci, mettendosi in gioco ed entrando nella pelle e nelle storie degli scrittori. E chissà che quest’anno non ci siano sorprese. A giugno premieremo, come nella scorsa edizione, le migliori pagine e i premi saranno ancora una volta libri.

E visto che parliamo di parole ci piace citare quelle usate da Valeria Parrella nel suo commento per il nostro sito: «Inoltre mi ha sorpreso molto vedere quanto fossero belle le pagine proposte in finale. Anche quella per me è un’esperienza importante, forse più del semplice incontro con i lettori: perchè è stato un incontro pulito, onesto. Io ti mando un libro, tu mi restituisci una pagina. Niente altro che questo. Come mandare un mazzo di fiori e vedersi rimandare una rosa. Poi erano anche belle rose, profumate di letteratura vera».

Diana Romagnoli e Maria Laura Vanorio
Responsabili del concorso nazionale di scrittura per le scuole superiori “La pagina che non c’era”


[1]R. Bodei, Zero chiamate, solo sms ecco la rivoluzione della texting generation, «La Repubblica», 12 agosto 2010, p. 17.

[2] M. Proust, Del piacere di leggere, Passigli, p. 33.

[3] L. Serianni, L’ora d’italiano, Laterza, p. 8.

D.Stern, The Present Moment in Psychotherapy and Everiday life, W.W Norton & Company, New York, 2004.

 

La pagina che non c'era